I Soldati

I Soldati

I Soldati

Il museo della battaglia del Senio affianca alla storia degli eserciti la storia degli uomini dentro l’uniforme. Soldati italiani che combattono prima su fronti lontani e poi in patria. Soldati italiani impegnati su schieramenti opposti: nuovo esercito italiano, con tanti ex partigiani, e uomini della Repubblica sociale. Racconta dei soldati tedeschi prima temibili e inarrestabili, uomini delle rappresaglie e delle esecuzioni di civili e poi esercito in arrancante disarmo. Racconta dei soldati alleati che si alternano sulle linee del fronte: uomini che giungono da cinque continenti Maori e Gurkha vicino a canadesi e polacchi. Un esercito multicolore, con lingue, religioni, usi e costumi diversi.

Durante gli ultimi mesi della guerra in Italia il corso del fiume Senio, cerniera strategica fra la collina e le Valli di Comacchio, rappresenta il punto più avanzato dello schieramento alleato che risaliva la penisola, per giungere al cuore della Pianura Padana. Per quattro interminabili mesi tra il ‘44 e il ‘45 la guerra soggiornò lungo gli argini di questo torrente distruggendo gravemente i paesi, divenuti teatro di prolungati combattimenti, di bombardamenti aerei alleati, di massicci minamenti tedeschi. Eserciti di oltre venti nazioni si scontrano su questo territorio, un movimento di truppe lento e progressivo da fiume a fiume, fino all’offensiva finale di primavera che prende avvio il 10 aprile 1945 nei punti decisivi in cui il Senio incrocia le principali strade nazionali.

“L’ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria. L’ora delle decisioni irrevocabili. La dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia”: è il 10 giugno 1940 e Benito Mussolini annuncia l’entrata dell’Italia in guerra al fianco della Germania.

Dopo questa dichiarazione i soldati italiani si vedono subito impegnati su molti fronti, lasciando l’Italia e la famiglia; a casa rimangono i civili: donne, vecchi e bambini. 

Gli uomini combattono in Africa, in Grecia, nei Balcani, in Russia; molti di loro sono già reduci della Prima Guerra Mondiale, e coloro che riescono a tornare in Italia, in particolare dalla Campagna di Russia, tornano ammalati dopo avere visto molti altri soldati morire per il freddo o perdere, per congelamento, l’uso dei piedi o delle mani. Sono fatti che accadono di frequente agli uomini di un esercito male armato e peggio equipaggiato quale è quello italiano durante la seconda guerra mondiale. 

All’inizio della guerra le novità arrivano dai soldati lontani, attraverso le lettere, che tuttavia molte donne, a causa dell’elevato tasso di analfabetismo, non sono neppure in grado di leggere. Il medico condotto, il parroco, il farmacista diventano figure di riferimento, dando lettura dei messaggi e scrivendo le risposte.

Ma nel ‘43, con la caduta del Fascismo e l’armistizio di Cassibile, cambiano le carte in tavola: l’annuncio della cessazione di ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane lascia quasi prive di direttive le forze armate italiane, che si trovavano impegnate in compiti di occupazione all’estero, oltre che quelle sul territorio italiano, e i tedeschi, per proteggere il territorio tedesco dall’avanzata alleata, decidono di occupare l’Italia. Oltre 600.000 soldati italiani saranno disarmati, deportati e, in alcuni casi, uccisi sommariamente.

Inizia così una spartizione del paese, provocata dalla presenza di due eserciti stranieri, che si fronteggeranno per i 22 mesi della Campagna d’Italia. La risalita dell’Italia da parte degli Alleati, che sulla carta doveva durare pochi mesi, subisce alla fine del ‘44 una importante frenata poiché l’Esercito Alleato, che aveva pianificato una discesa dagli Appennini senza difficoltà e una conquista rapida della Pianura Padana, aveva sottovalutato le caratteristiche del territorio, in particolare quello romagnolo.

Le forze militari in campo tra la fine del 1943 e il 1945

Erano composte dalla Wehrmacht, formata dalle tre armi tradizionali – esercito (Heer), aviazione (Luftwaffe) e marina (Kriegsmarine) –, e dalle Waffen-SS. Queste ultime, nate come formazione paramilitare del Partito nazista, durante il conflitto aumentarono di organico assorbendo nei propri ranghi migliaia di volontari stranieri (francesi, belgi, olandesi, danesi, norvegesi, lituani, russi e perfino italiani). Sul nostro territorio erano presenti pochi reparti delle SS appartenenti alla 16a divisione “Reichsführer-SS”, artefice di stragi come quella di Marzabotto.

Le forze armate della Repubblica Sociale Italiana (R.S.I.) comprendevano l’Esercito Nazionale Repubblicano (dotato di aviazione e marina assai ridotte) e le unità della GNR, formata dalla ex MVSN (Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale) ed ex carabinieri e poliziotti. Quest’ultima aveva un impiego di ordine pubblico e controllo del territorio; i suoi reparti, meglio noti come brigate nere, furono largamente utilizzati nella repressione antipartigiana. Tra i reparti dell’esercito di Salò che operarono sul nostro territorio va ricordato il Battaglione “Lupo”, appartenente alla divisione “X MAS”, schierato lungo alcuni tratti del fiume Senio negli ultimi mesi di guerra.

Dopo la dichiarazione di cobelligeranza italiana al fianco degli Alleati il Regio Esercito venne riformato. Lo Stato Maggiore Generale italiano fu autorizzato a costituire due Gruppi di Combattimento, con gli uomini delle Divisioni “Cremona” e “Friuli”. Questi soldati furono trasferiti dalla Sardegna e dalla Corsica sul continente per essere equipaggiati, armati e addestrati dall’esercito britannico. Qualche settimana dopo si formarono altri quattro Gruppi: il “Folgore”, il “Piceno”, il “Legnano” e il “Mantova”. Il Gruppo di Combattimento “Cremona” era costituito dai reggimenti 21° e 22° fanteria e 7° artiglieria. Comandato dal Generale Clemente Primieri e inquadrato all’interno dell’VIII Armata britannica, agli inizi del 1945 il Gruppo entrò in linea sul tratto compreso tra la ferrovia Ravenna-Alfonsine e il mare (operazione Sonia). 

Sul teatro italiano erano schierate due distinte armate: la V Armata americana (responsabile del settore di fronte tirrenico) e la VIII Armata britannica (responsabile del settore adriatico). Quest’ultima era estremamente eterogenea, risultando composta da uomini provenienti da ogni angolo del Commonwealth britannico (scozzesi, irlandesi, canadesi, sudafricani, neozelandesi, indiani, ecc.). Ne facevano parte anche un Corpo di spedizione polacco ed una Brigata ebraica, formata da volontari ebrei di varie nazionalità.

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La Battaglia del Senio

“Tutto l’orizzonte orientale era una massa di rumori. I proiettili producevano un’infinita gamma di effetti sonori: quelli da 25 libbre sfrecciavano con il rumore di una grande tenda lacerata, mentre i 4,5 e i 5,5 fendevano l’aria come treni lanciati a tutta velocità che passavano sopra le nostre teste e piombavano sull’argine. A volte il fragore diventava più aspro, come se il cielo fosse un’immensa porta d’acciaio sbattuta in faccia al nemico… Sembrava impossibile che tutto quel baccano provenisse da una fonte invisibile e si alzava lo sguardo come aspettandosi di veder il cielo lacerato e dilaniato dai proiettili di passaggio, proprio come li mostrano i disegnatori di fumetti. Ma non c’era niente, tranne la foschia e gli aerei che volavano in cerchio.”

John Ellis, The Sharp End of the War

Ancora oggi, ogni paese lungo il corso del fiume trattiene il ricordo della battaglia sul fronte del fiume Senio e dei combattenti che ridettero loro la libertà: nei primi giorni di aprile del 1945 soldati di cinque continenti, riuniti nell’Ottava Armata britannica, insieme ad Italiani dell’Esercito regolare e a partigiani volontari, sconfissero le ultime difese dei tedeschi e dei fascisti della R.S.I., ponendo fine alla campagna d’Italia. Eserciti di oltre venti nazioni si scontrarono, dalla Nuova Zelanda all’India, dalla Polonia al Canada e al Nepal (i Gurkha). Assieme all’esercito alleato la presenza dei reparti del nuovo Esercito italiano, all’interno dei quali erano numerosi anche gli ex partigiani volontari dell’Italia centrale.

Dalla foce del Senio nel Reno fino al mare furono invece i partigiani della 28° Brigata Garibaldi, riconosciuti come unità combattente dagli Alleati, a guidare le operazioni lungo la costa adriatica, fin nel cuore del Veneto.

Il Gruppo di Combattimento Cremona

Il 10 aprile 1945 protagonisti della liberazione di alfonsine furono i fanti del Gruppo di combattimento Cremona: soldati del nuovo esercito italiano, per la maggior parte ex partigiani.

Nel luglio del 1944 lo Stato Maggiore Italiano istituì due gruppi di combattimento, con uomini dalle divisioni “Cremona” e “Friuli”, reduci dalla liberazione della Corsica e della Sardegna e richiamati sul continente per essere inquadrati nelle fila dell’VIII armata britannica.

Guidato dal Generale Clemente Primieri, il GdC “Cremona” poteva contare su quasi 10.000 soldati, con i reparti 21° e 22° fanteria e 7° artiglieria e un battaglione del Genio, a cui si aggiunsero man mano centinaia di volontari ed ex partigiani che provenivano dalle zone liberate di Marche, Toscana e Umbria. L’arruolamento di questi ultimi in particolare, nonostante le opinioni divergenti dell’esercito alleato rispetto al regio esercito, era infatti necessario per compensare le formazioni regolari che si trovavano sottonumero.

Nel nostro territorio il “Cremona” aveva il compito di scardinare le difese tedesche e fin dai primi giorni dovette sostenere violenti attacchi. Durante l’operazione Sonia in particolare, che ha portato alla liberazione dei territori sul Senio tra cui Alfonsine, dovevano attraversare il fiume e garantire una testa di ponte lungo la statale 16 adriatica: alle 5.25 del 10 aprile 1945 i Cremonini forzarono il Senio, conquistando Alfonsine e Fusignano e salvando così da morte certa molti abitanti dei due paesi; se non fossero riusciti nell’impresa infatti, gli Alleati avrebbero utilizzato l’artiglieria pesante per garantirsi un varco.

Le perdite subite dal Gruppo di Combattimento “Cremona” ammontano a 178, mentre 605 rimasero feriti e 80 furono i dispersi. Le spoglie dei Caduti sono conservate nel Sacrario di Camerlona (RA) a loro dedicato e gli abitanti dei paesi liberati dall’occupazione nazifascista mantengono ancora oggi saldi legami di amicizia con quelli di provenienza dei combattenti.

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