I Civili

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Quando si racconta la guerra si pensa sempre che sia una cosa da “soldati”. E i civili? Donne, vecchi e bambini?

Se i soldati soffrono per la mancanza di derrate alimentari e di equipaggiamenti adeguati, non è certo felice la situazione dei civili: donne, vecchi e bambini non conoscono che una piccola porzione di territorio oltre la loro casa e spesso non hanno neppure frequentato la scuola. Il permanere del fronte, fermo per i lunghi mesi invernali, lascia segni evidenti non solo sulla produzione e l’economia locale, ma anche sulle abitazioni e sui monumenti che diventano bersagli di bombardamenti, cannoneggiamenti e minamenti a cui la popolazione è costantemente sottoposta. Così mentre gli uomini sono perlopiù lontani, forzatamente reclutati dagli eserciti, al fronte o nella Resistenza, cardine della vita di queste comunità diventano le donne, che fanno i conti con un quotidiano scandito dal suono degli allarmi antiaerei, dagli ordini di sfollamento, dalla mancanza di cibo che le requisizioni aggravano man mano.

È un momento di grande penuria di generi alimentari, molti raccolti sono andati perduti, e la presenza dei soldati sul territorio ha come conseguenza la sottrazione di pollame e bestiame. Le case, specialmente nelle zone di campagna, sono prive di riscaldamento, di luce elettrica e di acqua corrente. Molti medicinali, cibi, materie prime sono ormai introvabili. Le donne si rendono presto conto di quanto sia duro conciliare le necessità dell’economia familiare con il razionamento ed usano con apprensione la tessera annonaria: le quantità, prima di tutte quella del pane, non fanno che diminuire. Da anni si fa uso dei cosiddetti surrogati sia alimentari che tessili, a causa dell’embargo della Società delle Nazioni e dell’autarchia (come il karkadè al posto del tè, il caffè d’orzo o di cicoria invece del vero caffè, il sughero al posto del cuoio nelle scarpe da donna e il cartone pressato negli stivali dei soldati). Gli spostamenti si fanno sempre più difficili man mano che la guerra avanza e le persone devono essere munite di lasciapassare per muoversi: numerosi sono infatti i posti di blocco, per attraversare i quali occorre avere documenti in regola. Arriva, nella provincia di Ravenna, il momento in cui anche spostarsi in bicicletta viene proibito, neppure con la bicicletta a mano.

La popolazione si trova coinvolta nelle operazioni militari in una misura sino ad allora sconosciuta: diviene bersaglio di bombardamenti, vittima di episodi di rappresaglia, persecuzione, rastrellamento da parte delle truppe tedesche, effettuati allo scopo di arrestare i combattenti nelle fila delle organizzazioni partigiane, fino alla deportazione e all’uccisione. Durante queste operazioni vengono infatti arrestati non solo i partigiani ma, spesso, anche persone che non facevano parte della Resistenza, oltre a saccheggi e incendi. Anche l’avanzata dell’Esercito Alleato lungo l’Emilia Romagna causa un enorme numero di vittime tra i civili, più di quelle provocate dai tedeschi occupanti, perché per non perdere nemmeno un uomo più del necessario gli Alleati radono al suolo interi paesi nel tentativo di intercettare il nemico; nonostante ciò gli Italiani, dopo tanti anni di regime, le perdite e la distruzione dei centri abitati, accolgono comunque gli Alleati come liberatori.

Alla fine del conflitto, nella sola provincia di Ravenna morirono oltre 5000 civili, di cui più dell’80% vittime di bombardamenti e esplosioni. Anche negli anni successivi alla fine delle operazioni militari molti furono i decessi causati dallo scoppio di ordigni bellici, mine in particolare, piazzati dai due eserciti contrapposti lungo la valle del Senio.

Recupero e riuso

Venne avviata, già durante ma soprattutto dopo la guerra, un’intensa attività di riciclaggio di oggetti e materiali inizialmente pensati a scopo bellico, adattandoli alla quotidianità della popolazione locale. A fronte della penuria di materiali e della (scarsa) presenza di surrogati che avevano accompagnato l’economia italiana fino a quel momento, i rottami della guerra erano una manna di materie prime e componenti preziosi e così contadini, artigiani e famiglie iniziarono a riciclare ciò che era stato lasciato sul campo di battaglia e a realizzare strumenti e utensili funzionali alla vita quotidiana.

Così un elmetto militare trova una nuova funzione come catino, mestolone o scaldino invernale, un bossolo si trasforma in una tazza, le placche di metallo traforato adoperate inizialmente per superare l’ostacolo del fango diventano cancelli per le abitazioni (tuttora visibili all’ingresso di alcune case di campagna). 

Numerosi esempi di questo processo sono esposti nelle vetrine del museo, ma in molti casi sono ancora presenti nelle case stesse degli abitanti del luogo.

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La Battaglia del Senio

“Tutto l’orizzonte orientale era una massa di rumori. I proiettili producevano un’infinita gamma di effetti sonori: quelli da 25 libbre sfrecciavano con il rumore di una grande tenda lacerata, mentre i 4,5 e i 5,5 fendevano l’aria come treni lanciati a tutta velocità che passavano sopra le nostre teste e piombavano sull’argine. A volte il fragore diventava più aspro, come se il cielo fosse un’immensa porta d’acciaio sbattuta in faccia al nemico… Sembrava impossibile che tutto quel baccano provenisse da una fonte invisibile e si alzava lo sguardo come aspettandosi di veder il cielo lacerato e dilaniato dai proiettili di passaggio, proprio come li mostrano i disegnatori di fumetti. Ma non c’era niente, tranne la foschia e gli aerei che volavano in cerchio.” John Ellis, The Sharp End of the War

Ancora oggi, ogni paese lungo il corso del fiume trattiene il ricordo della battaglia sul fronte del fiume Senio e dei combattenti che ridettero loro la libertà: nei primi giorni di aprile del 1945 soldati di cinque continenti, riuniti nell’Ottava Armata britannica, insieme ad Italiani dell’Esercito regolare e a partigiani volontari, sconfissero le ultime difese dei tedeschi e dei fascisti della R.S.I., ponendo fine alla campagna d’Italia. Eserciti di oltre venti nazioni si scontrarono, dalla Nuova Zelanda all’India, dalla Polonia al Canada e al Nepal (i Gurkha). Assieme all’esercito alleato la presenza dei reparti del nuovo Esercito italiano, all’interno dei quali erano numerosi anche gli ex partigiani volontari dell’Italia centrale.

Dalla foce del Senio nel Reno fino al mare furono invece i partigiani della 28° Brigata Garibaldi, riconosciuti come unità combattente dagli Alleati, a guidare le operazioni lungo la costa adriatica, fin nel cuore del Veneto.

Il Gruppo di Combattimento Cremona

Il 10 aprile 1945 protagonisti della liberazione di alfonsine furono i fanti del Gruppo di combattimento Cremona: soldati del nuovo esercito italiano, per la maggior parte ex partigiani.

Nel luglio del 1944 lo Stato Maggiore Italiano istituì due gruppi di combattimento, con uomini dalle divisioni “Cremona” e “Friuli”, reduci dalla liberazione della Corsica e della Sardegna e richiamati sul continente per essere inquadrati nelle fila dell’VIII armata britannica.

Guidato dal Generale Clemente Primieri, il GdC “Cremona” poteva contare su quasi 10.000 soldati, con i reparti 21° e 22° fanteria e 7° artiglieria e un battaglione del Genio, a cui si aggiunsero man mano centinaia di volontari ed ex partigiani che provenivano dalle zone liberate di Marche, Toscana e Umbria. L’arruolamento di questi ultimi in particolare, nonostante le opinioni divergenti dell’esercito alleato rispetto al regio esercito, era infatti necessario per compensare le formazioni regolari che si trovavano sottonumero.

Nel nostro territorio il “Cremona” aveva il compito di scardinare le difese tedesche e fin dai primi giorni dovette sostenere violenti attacchi. Durante l’operazione Sonia in particolare, che ha portato alla liberazione dei territori sul Senio tra cui Alfonsine, dovevano attraversare il fiume e garantire una testa di ponte lungo la statale 16 adriatica: alle 5.25 del 10 aprile 1945 i Cremonini forzarono il Senio, conquistando Alfonsine e Fusignano e salvando così da morte certa molti abitanti dei due paesi; se non fossero riusciti nell’impresa infatti, gli Alleati avrebbero utilizzato l’artiglieria pesante per garantirsi un varco.

Le perdite subite dal Gruppo di Combattimento “Cremona” ammontano a 178, mentre 605 rimasero feriti e 80 furono i dispersi. Le spoglie dei Caduti sono conservate nel Sacrario di Camerlona (RA) a loro dedicato e gli abitanti dei paesi liberati dall’occupazione nazifascista mantengono ancora oggi saldi legami di amicizia con quelli di provenienza dei combattenti.

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