Documento personale che definiva la quantità di merci e di generi alimentari razionati acquistabili in un determinato lasso di tempo. Subito ribattezzata dalla popolazione “tessera della fame”, era il pagamento delle risorse alimentari del paese, che lo stato aveva confiscato, distribuendole in piccole porzioni.
In Italia venne reintrodotta con decreto ministeriale a partire dal 1940 e veniva rilasciata dal comune, nominativa e bimestrale; permetteva in date prestabilite di recarsi da un fornitore abituale per la prenotazione, dapprima solo di generi alimentari, in seguito anche di altri beni come, ad esempio, il vestiario. Il negoziante staccava la cedola di prenotazione apponendo la propria firma e, in una o due date prestabilite, si poteva prelevare la merce prenotata. Le date di prenotazione e ritiro dei generi alimentari venivano annunciate tramite manifesti e trafiletti sui giornali che si susseguivano a ritmi paradossali. Sulla tessera vi erano dei bollini rappresentanti il totale consumo mensile di pasta, olio e zucchero. Il pane invece era distribuito giornalmente, non più di 500 gr all’inizio della guerra, per poi arrivare a circa 100 gr.