I Partigiani

I Partigiani

I Partigiani

L’esperienza partigiana  raccontata dal museo descrive la lotta di una intera comunità: la guerriglia, le azioni in montagna ed in collina, la vita clandestina  ed i sabotaggi. Racconta di quando  in questo territorio  l’azione dei partigiani si spostò   in pianura e nella valle  e divenne  necessario  creare  una rete di collaborazione   e di fiducia con i civili.  Allora si sommarono  insieme   l’impegno  degli uomini di esperienza e dei  giovani che imparavano  a combattere  e la forza delle donne ed il coraggio delle ragazze che diventavano staffette.

Raccontare la lotta di Resistenza in Romagna significa descrivere un ampio movimento di massa, dove il supporto e la collaborazione degli strati sociali più bassi furono determinanti: quando, nell’autunno del 1944, arrivò il fronte di guerra, le truppe alleate, che fornivano armi, divise e viveri, strinsero una collaborazione con  gli uomini e le  donne  del luogo, possessori di un’accurata e preziosa conoscenza del territorio.

Le prime bande partigiane nacquero in opposizione al fascismo già nell’autunno-inverno del 1943 sull’Appennino romagnolo, formate in gran parte da giovani decisi a non rispondere alla chiamata alle armi dell’esercito della RSI (Repubblica Sociale di Salo). Nel febbraio del ’44, le bande si trasformarono in vere e proprie brigate, un periodo importante per l’autodeterminazione della Resistenza ma anche difficile e pericoloso a causa dei vasti rastrellamenti da parte dei tedeschi. Si sviluppò parallelamente anche la lotta in pianura, che a differenza della guerriglia sull’appennino comportava maggiore precarietà a causa dei continui spostamenti tra rifugi e case di braccianti e mezzadri, che divennero pertanto fondamentali nella lotta di Liberazione.

 Già l’estate del ‘44 vide, nel ravennate, un’intensa attività della popolazione delle campagne contro tedeschi e fascisti che, nell’imminenza dello scontro decisivo, cercavano di impadronirsi di tutte le risorse del territorio. La popolazione fu infatti artefice di numerose azioni tra cui quelle di sabotaggio, soprattutto lungo le principali vie di comunicazione stradale (Statale 16, via Emilia e San Vitale) e lungo la linea ferroviaria dove i convogli tedeschi venivano continuamente attaccati e danneggiati.

Nei venti mesi di Resistenza i combattenti passarono da renitenti alla leva fascista a guerriglieri, da banditen – come li chiamavano i tedeschi per non riconoscere loro dignità di combattenti – a soldati regolari nelle file alleate. La qualifica di Partisan è il riconoscimento finale di una battaglia al cui esito vittorioso hanno contribuito condizioni sociali ed ambientali uniche.

“Tutto l’orizzonte orientale era una massa di rumori. I proiettili producevano un’infinita gamma di effetti sonori: quelli da 25 libbre sfrecciavano con il rumore di una grande tenda lacerata, mentre i 4,5 e i 5,5 fendevano l’aria come treni lanciati a tutta velocità che passavano sopra le nostre teste e piombavano sull’argine. A volte il fragore diventava più aspro, come se il cielo fosse un’immensa porta d’acciaio sbattuta in faccia al nemico... Sembrava impossibile che tutto quel baccano provenisse da una fonte invisibile e si alzava lo sguardo come aspettandosi di veder il cielo lacerato e dilaniato dai proiettili di passaggio, proprio come li mostrano i disegnatori di fumetti. Ma non c’era niente, tranne la foschia e gli aerei che volavano in cerchio.”

John Ellis

The Sharp End of the War

Verso la fine dell’estate 1944, gli uomini delle campagne ravennati si sono ormai esposti in molte azioni di guerriglia e sembra che l’arrivo degli Alleati sia imminente, ma l’annuncio del proclama di Alexander, nel novembre del 1944r  dichiara sospesa ogni operazione militare Alleata per l’inverno e giunge come un fulmine a ciel sereno. 

Sul territorio opera la 28ª Brigata Garibaldi “Mario Gordini”, una delle formazioni meglio organizzate di tutta la Resistenza italiana, suddivisa in distaccamenti ad ognuno dei quali competeva un diverso ambito di operazioni. Comanda la brigata Arrigo Boldrini (nome di battaglia Bulow), eletto nel giugno del ‘44 e nominato ufficiale di collegamento tra le brigate romagnole ed il CUMER (Comando Unico Militare dell’Emilia-Romagna). 

A nord di Ravenna, nella valle della canna, si trova un’isola: l’Isola degli Spinaroni, dove venne costituita una base partigiana permanente ed trovò sede il distaccamento intitolato a Terzo Lori.

Una ricca vegetazione, tipica delle zone paludose, e la complicità degli abitanti delle aree circostanti permisero a centinaia di combattenti di restare nascosti agli occhi del nemico: la base fu di particolare importanza perché dall’Isola partivano gli attacchi notturni al presidio tedesco del capoluogo ed era possibile controllare un tratto vitale della Statale 16. Grazie agli aviolanci alleati i partigiani ricevettero armi e un apparecchio radio, che avrebbe fornito preziose segnalazioni al Comando alleato per l’avanzata dei Canadesi su Ravenna. Qui, inoltre, era inoltre possibile ospitare i partigiani che necessitavano di un luogo sicuro.

L’apice strategico venne raggiunto nel dicembre del 1944, dove oltre seicento partigiani e staffette vennero mobilitati per la Battaglia delle Valli, che consentì agli alleati di entrare facilmente a Ravenna per la definitiva liberazione. All’inizio dell’autunno infatti tutte le forze partigiane della zona, comandate da Bulow, sono coscienti dell’impossibilità di rimanere fermi fino all’arrivo della primavera e progettano un piano per la liberazione di Ravenna che prevede l’utilizzo di forze partigiane coadiuvate dalla Porter Force e dagli uomini del comandante Vladimir Peniakoff. L’azione ha un esito felice: la liberazione della città il 4 dicembre del 1944. Nei giorni e nelle notti successive si svolge una difficile battaglia nelle valli che porta alla liberazione di Porto Corsini, di Faenza e di Bagnacavallo (21 dicembre 1944).

Il 4 febbraio 1945, a Ravenna, Bulow venne decorato con Medaglia d’Oro al Valor Militare per la conduzione delle operazioni che portarono alla liberazione di Ravenna, ed i suoi uomini vennero equipaggiati come militari e militarmente inquadrati e poterono partecipare, in prima linea, alla battaglia del Senio. Ai partigiani della 28ª Brigata Garibaldi venne infatti concesso, contrariamente a quanto accadeva di solito (cioè disarmo e smobilitazione una volta liberato il territorio di riferimento), il riconoscimento ufficiale di Forza combattente autonoma all’interno della 8ª armata Britannica.

“Esaminando più in generale l’apporto femminile sia delle staffette, sia per l’azione popolare rivendicata e per il salvataggio di giovani dai rastrellamenti tedeschi e fascisti, le donne stanno da mesi diventando le principali protagoniste”

così Arrigo Boldrini commenta la portata dell’azione femminile nel definire le sorti della guerra ancora in corso. Non sarà mai possibile infatti quantificare il contributo delle donne nella lotta della Resistenza. L’occupazione ha portato in prima linea anche i civili e, mentre gli uomini sono stati costretti a nascondersi e vivere in clandestinità, le donne sono rimaste.

Cal tabachi, “quelle ragazze” in dialetto romagnolo, è il modo in cui venivano chiamate coloro che hanno concorso attivamente al fianco dei partigiani. La partecipazione femminile fu un fenomeno nuovo, inimmaginabile durante l’epoca fascista: consapevoli dei rischi, si sono rese disponibili per il servizio logistico della guerriglia e hanno assunto incarichi di varia responsabilità, fino ad adoperarsi nel ruolo di combattenti sul fronte della lotta partigiana.

L’atteggiamento dei civili, delle famiglie contadine soprattutto, si dimostrò fondamentale per i partigiani, per i quali era meno complicato gestire la guerriglia sulle alture. Quando la lotta partigiana si sposta verso la pianura diventa indispensabile l’apporto delle famiglie: è nelle case contadine che i partigiani devono nascondersi, sono le famiglie a procurare cibo, indumenti, a portare i messaggi da una base all’altra. È qui che diventa essenziale l’opera delle staffette, in genere ragazze giovani, che si facevano carico di recapitare ordini e messaggi ma anche armi, munizioni e stampa clandestina, spesso percorrendo diverse decine di chilometri sulle biciclette e sempre con la paura delle perquisizioni ai posti di blocco. Nelle campagne del ravennate fu di primaria importanza anche il contributo delle adzore, le “capofamiglia”, le donne che reggono le sorti della casa: in mancanza degli uomini impegnati al fronte, prigionieri o attivi nella lotta clandestina, presero decisioni importanti e gravose nell’aiutare e proteggere i combattenti della Resistenza. Informazione e protezione erano infatti i compiti di cui erano investite, e crearono nel tempo diversi sistemi di comunicazione in codice, apparentemente innocui, come ad esempio la scelta della biancheria da stendere a seconda del messaggio da trasmettere ai partigiani.

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La Battaglia del Senio

“Tutto l’orizzonte orientale era una massa di rumori. I proiettili producevano un’infinita gamma di effetti sonori: quelli da 25 libbre sfrecciavano con il rumore di una grande tenda lacerata, mentre i 4,5 e i 5,5 fendevano l’aria come treni lanciati a tutta velocità che passavano sopra le nostre teste e piombavano sull’argine. A volte il fragore diventava più aspro, come se il cielo fosse un’immensa porta d’acciaio sbattuta in faccia al nemico… Sembrava impossibile che tutto quel baccano provenisse da una fonte invisibile e si alzava lo sguardo come aspettandosi di veder il cielo lacerato e dilaniato dai proiettili di passaggio, proprio come li mostrano i disegnatori di fumetti. Ma non c’era niente, tranne la foschia e gli aerei che volavano in cerchio.” John Ellis, The Sharp End of the War

Ancora oggi, ogni paese lungo il corso del fiume trattiene il ricordo della battaglia sul fronte del fiume Senio e dei combattenti che ridettero loro la libertà: nei primi giorni di aprile del 1945 soldati di cinque continenti, riuniti nell’Ottava Armata britannica, insieme ad Italiani dell’Esercito regolare e a partigiani volontari, sconfissero le ultime difese dei tedeschi e dei fascisti della R.S.I., ponendo fine alla campagna d’Italia. Eserciti di oltre venti nazioni si scontrarono, dalla Nuova Zelanda all’India, dalla Polonia al Canada e al Nepal (i Gurkha). Assieme all’esercito alleato la presenza dei reparti del nuovo Esercito italiano, all’interno dei quali erano numerosi anche gli ex partigiani volontari dell’Italia centrale.

Dalla foce del Senio nel Reno fino al mare furono invece i partigiani della 28° Brigata Garibaldi, riconosciuti come unità combattente dagli Alleati, a guidare le operazioni lungo la costa adriatica, fin nel cuore del Veneto.

Il Gruppo di Combattimento Cremona

Il 10 aprile 1945 protagonisti della liberazione di alfonsine furono i fanti del Gruppo di combattimento Cremona: soldati del nuovo esercito italiano, per la maggior parte ex partigiani.

Nel luglio del 1944 lo Stato Maggiore Italiano istituì due gruppi di combattimento, con uomini dalle divisioni “Cremona” e “Friuli”, reduci dalla liberazione della Corsica e della Sardegna e richiamati sul continente per essere inquadrati nelle fila dell’VIII armata britannica.

Guidato dal Generale Clemente Primieri, il GdC “Cremona” poteva contare su quasi 10.000 soldati, con i reparti 21° e 22° fanteria e 7° artiglieria e un battaglione del Genio, a cui si aggiunsero man mano centinaia di volontari ed ex partigiani che provenivano dalle zone liberate di Marche, Toscana e Umbria. L’arruolamento di questi ultimi in particolare, nonostante le opinioni divergenti dell’esercito alleato rispetto al regio esercito, era infatti necessario per compensare le formazioni regolari che si trovavano sottonumero.

Nel nostro territorio il “Cremona” aveva il compito di scardinare le difese tedesche e fin dai primi giorni dovette sostenere violenti attacchi. Durante l’operazione Sonia in particolare, che ha portato alla liberazione dei territori sul Senio tra cui Alfonsine, dovevano attraversare il fiume e garantire una testa di ponte lungo la statale 16 adriatica: alle 5.25 del 10 aprile 1945 i Cremonini forzarono il Senio, conquistando Alfonsine e Fusignano e salvando così da morte certa molti abitanti dei due paesi; se non fossero riusciti nell’impresa infatti, gli Alleati avrebbero utilizzato l’artiglieria pesante per garantirsi un varco.

Le perdite subite dal Gruppo di Combattimento “Cremona” ammontano a 178, mentre 605 rimasero feriti e 80 furono i dispersi. Le spoglie dei Caduti sono conservate nel Sacrario di Camerlona (RA) a loro dedicato e gli abitanti dei paesi liberati dall’occupazione nazifascista mantengono ancora oggi saldi legami di amicizia con quelli di provenienza dei combattenti.

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