Il Museo della battaglia del Senio si unisce al cordoglio della famiglia e dell’Istituto Storico della Resistenza in provincia di Ravenna per la perdita di Decimo Triossi, recentemente scomparso.
Impegnato nella politica e nell’associazionismo, fu un punto di riferimento per la memoria storica ravennate in qualità di presidente dell’Istituto Storico della Resistenza, dal 1998 al 2008. Fu merito suo la ricostruzione e il rilancio dell’Istituto: con grande impegno e passione volle che tutti i 18 comuni del territorio provinciale si facessero carico di sostenere l’Istituto con una quota pro-abitante: una formula virtuosa ed originale che ancora oggi continua a funzionare. Così dal 1998 alla fine del 2007 Triossi ha presieduto l’Istituto, forte del suo passato di amministratore, accreditandolo presso tutti gli enti e le fondazioni che potevano concorrere al suo rafforzamento.
Giovanissimo durante gli epigoni della Resistenza e protagonista della vita politica nella ricostruzione civica e nel consolidamento del modello di governo emiliano-romagnolo, teneva particolarmente alla salvaguardia delle radici e dell’impegno antifascista da parte delle amministrazioni locali e dei docenti nelle scuole. Dirigente provinciale e nazionale della Federazione giovanile comunista, ha ricoperto tra gli altri il ruolo di presidente della Provincia di Ravenna e di assessore regionale, dedicando poi l’ultima parte della sua vita alla cura e alla trasmissione della memoria come presidente dell’Istituto storico e dirigente Anpi.
“Della sua giovane militanza, dei fratelli partigiani e dei famigliari sterminati nell’eccidio di Madonna dell’Albero – ricorda il direttore dell’Istituto Giuseppe Masetti – non parlava mai; era invece molto orgoglioso dell’ostinata tradizione anarchica del padre e della grande manifestazione di solidarietà operaia che gli amici delle Ville Unite avevano tributato al suo funerale, malgrado i divieti fascisti”. Nel corso dei suoi mandati presidenziali all’Istituto Triossi aveva sempre portato all’interno del direttivo figure autorevoli anche di diversa appartenenza politica, come Natalino Guerra e Celso Minardi, al fine di condividere nel modo più ampio le scelte, le culture e i programmi che accompagnarono la rinascita dell’Associazione.
Dopo un decennio di attività fu lui stesso a chiedere e a programmare il suo avvicendamento, perché – diceva – la passione civile che metteva negli interventi ai quali veniva spesso chiamato, non era più compatibile con la sua salute. Ha tuttavia continuato a seguire con attenzione l’attività e le pubblicazioni dell’Istituto facendosi ricordare da tutti i collaboratori con grande stima e considerazione.